Nuove ricerche, a partire dal prossimo 4 luglio, sul fondo del lago di Nemi, per cercare la ‘terza nave’ di Caligola: questo il contenuto di un articolo comparso oggi sulle pagine de Il Tempo, accompagnato dal solito, stucchevole titolo fantarcheologico e indianajonesco (“A Nemi si cerca l’arca perduta” – qualcuno spieghi al giornalista che, tra l’altro, l’arca di Indiana Jones era una cassetta, e non una nave come l’arca di Noé!).
Questi i fatti, in estrema sintesi: sul fondo del lago di Nemi, a due passi da Roma, come è noto, negli anni Venti si recuperarono due gigantesche navi-palazzo, appartenute all’imperatore Caligola; note da sempre, avvicinate, toccate, ferite e saccheggiate nel corso dei secoli, furono infine tirate in secca con una megalomane operazione di Benito Mussolini (‘a cui si deve oggi il merito di aver realizzato una delle più straordinarie imprese archeologiche del ventesimo secolo‘ scrive con leggerezza il disinformato giornalista del Tempo); dopo pochi anni i due straordinari relitti, ospitati in un gigantesco museo ancor oggi visitabile, andarono a fuoco in un incendio connesso agli eventi della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi, un gruppo di sub volontari, guidati dall’architetto Giuliano Di Benedetti, promotore del progetto, ha pianificato un tuffo nel punto più profondo del lago (-33 mt.) per verificare l’esistenza di una terza nave, di cui ci sarebbe traccia nelle relazioni di Fusconi, uno degli individui che saccheggiò i primi due relitti nell’Ottocento.
Scettica, giustamente, la Soprintendenza: Giuseppina Ghini, che da anni lavora nell’area nemorense, conosce bene il bacino e sa che anche se in acqua esistono ancora reperti da documentare (per i quali dovrebbe partire a breve un lavoro scientifico), la fantomatica terza nave è un’invenzione.
Dal canto nostro, ci auguriamo che il tuffo dei sommozzatori, sia esso un buco nell’acqua o no, non si trasformi in una caccia al tesoro, e che l’architetto visionario e i suoi compagni in muta siano accompagnati da archeologi subacquei qualificati, che possano vigilare sulle operazioni e sulle presunte ricerche.
A scanso di equivoci, vale la pena ricordare che la Convenzione UNESCO per la Protezione del Patrimonio Culturale Subacqueo, scritta nel 2001, assimilata dall’Italia nel codice del 2004 e ufficialmente ratificate nel 2009 è molto precisa al riguardo delle competenze:
Rule 22. Activities directed at underwater cultural heritage shall only be undertaken under the direction and control of, and in the regular presence of, a qualified underwater archaeologist with scientific competence appropriate to the project.
Rule 23. All persons on the project team shall be qualified and have demonstrated competence appropriate to their roles in the project.
Forse, al netto delle suggestioni indianajonesche, sarebbe ora di mettere da parte la fantarcheologia, e pensare a una gestione corretta e matura delle nostre ricchezze sommerse.
Source archeologia subacquea
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